Non per dire, a pugno stretto

Il tenere la penna in mano e lasciare che l'inchiostro fluisca - sotto forma codificata affinchè gli altri in minima parte recepiscano il background - e s'imprima su un tessuto assorbente qualsiasi, è senza dubbio un atto masturbatorio.
Il gesto stesso lo rivela.
Del resto scrivere non è parlare, e vale la pena marcare la differenza.
Discorso diretto, da fare a parte.

"Ti credi furbo?"
"Sì"

Trottola roteante su un punto morto, perchè di quel che si potrebbe fare tanto non cambierebbe le sostanze intorno (nessuno l'ha chiesto), non cambierebbe la potenza su di sè che tiene legati all'incontrollabiltà degli eventi (un solo movimento, e il giudizio è già una condanna), nonostante gli occhi vaghino oltre.

Beato sonno, accoglimi.


Parma, 29 giugno 2007

Sulle labbra

Non dovevi partire?

Scioperi e incubi mi hanno fermato: nottata dagli occhi sbarrati.
La mia casa invasa dai ratti e cadaveri in decomposizione appesi in ogni stanza, e la sensazione che sarei andato a perdere altro tempo... anzi che no... quella casa dai soffitti così bassi, e così poca luce, e rumori scricchiolanti, e un'infanzia nera che ancora ronza... e poi non ho via... forse ce l'avevo, ma l'ho persa... e poi non ho voglia di andare a far la spesa in quel paesino, a piedi... altra perdita di tempo, anzi che no... quando tornavo da scuola lì mi aspettavano per inseguirmi e menarmi... ero il più piccolo e ispiravo violenza si vede... tornavo a casa e i miei "perchè non ti difendi?" perchè non mi difendevate voi, perchè non ero difeso nemmeno in casa, da voi e dai mostri... sì, ora tu vedi me esternamente e pensi che tutto sommato non è poi così grave, ma dentro? non ho centro, e le spaccature non sono vie da percorrere, quali vie? e verso dove? in media ogni 33 minuti è una rivoluzione, spesso inconciliante con quella precedente... almeno una volta avevo un Dio normale, con una forma, come una madre e un padre ideali a cui rivolgersi, adesso il mio Dio è così spalmato da rasentare l'indifferenza, la sua non la mia... ho nostalgia della forma, della poesia, odio la poesia senza forma, non può esistere poesia senza forma, è la forma che concentra le emozioni... la poesia deve essere musicale... non è schizofrenia ma a volte gli somiglia proprio... i nervi tremano sempre più in spasimi deliranti, e sento così vicino il pozzo... no, non è così, poi sì e poi fanculo tutto e tutto resta uguale... dovrei dirti che va tutto bene? no, con te non me lo voglio permettere, con te che dimostri sincerità e non hai paura a dirmi che non stai bene quando non stai bene... non mi va di metterti l'anima in pace, disonestamente... beh dopo riderò e ti farò ridere, perchè in fondo queste sono parole intraducibili... dispersione è conseguenza di insicurezza... e ora vorresti risolvermi razionalmente? Non illuderti ancora, la razionalità è solo un'altra religione, così superficiale e autoreferenziale quando non è spontanea, quando non è vissuta prima di tutto attraverso i sentimenti... c'è qualcosa di molto più profondo, di primordiale, di autentico, di doloroso se vuoi, ma anche di gioioso... gli abbracci aiutano molto di più che i tentativi di risolvermi con la pietà razionale sparata a raffiche di parole recidivamente scialbe, sai? nel mio caso almeno... vabeh, ti lascio questa canzone nello stereo... forse domani parto... play:

(musica)

la tua primavera è un incubo
in cui lo stato cede alla pornografia

il niente e il niente da distinguere
finchè poi non sai più cosa sentire

pensi di avere un credo
poi lo adatti a quello che sei

e come può il mio amore essere limpido
se è la mia nazione che l'inquina

so come un uomo deve decidere
ma ora non so più cosa sentire

ti ritrovi sulle labbra
a giustificarti quel che sei

anche odiare è un diritto, sai?

la tua primavera è un incubo
disobbedire acquista un senso in più

(afterhours)


Parma, 13 aprile 2007

Storia Medievale

Sull'assestato marciapiede circonferente la rotonda di Piazzale S.Nella (ben nota anche come la Protettice dell'Ingorgo),
in una bene e stante cittadina
onorevolmente appuntata sul collo dell'italico stivale,
alle 2 e 30 del pomeriggio di un raggiante 8 marzo,
un incontro.
Ecco cosa accadde:


Ingunde (tutti voi vi ricorderete di lei per le magnifiche avventure di quel sant'uomo di "Ermenegildo: aò, ma quanto sò Vichingo?!"):
Allora?
Hom'è andhato l'esame di Storia?

Zebedeo:
Considerando il limite massimo della mia disponibilità a farmi mettere i piedi in testa da un professore, direi or poco sì,
ostico e deciso,
alla mia eliminazione ben s'intende,
ho dribblato in anticipo la prevedibile punizione oscurando i doppivetri per non far disturbar all'Alba del dovere,
il mio piccolo lieto sonno,
così carino piccino piccino picciò!

Ingunde:
E quindi in bréve?
Non ti sè'tu presenthato neppure stavolta?

Zebedeo:
In verità, in verità ti dico:
mi sono alzato trionfante alle nove e tre quarti,
mi sono ravvivato i capelli,
e mi son avviato fiducioso verso il campo di duello
nel tentativo di risolvere medievali conflitti di vecchi barbosi derelitti,
io e il mio impeccabile look con le sue due giuste gocce di irresistibile Kelso,
quandunquecco, l'improbabile che appare,
così come apparve la Madonna a un calciatore
appena pestato laddove è meglio tacere...

Ingunde:
Oh citrullo!
Dicchè tu blateri, maremma maiala?

Zebedeo:
Tu non ci crederai, tanto poco è originale questo fatto,
che io invece c'ho ancora il cuore in mona...
appena esco di casa
una luce straniante,
silenzio assoluto,
e toh che mi risveglio
nella plancia di un'astronave!

Ingunde:
...?????
(questo s'è fumato il bignami di tutta la storia dello stato di Giamaica, altrochè!)

Zebedeo:
E sai che m'hanno detto dopo avermi analizzato con tutti i loro laser stronzi per ogni mio sacro buco libero?
Dopo una lunga e concitata tra i di loro savi, assemblea,
m'hanno con professionalità concisa dichiarato:
"Onestamente, lei è un coglione!"
Ti pare?
Io? Un coglione?
Un coglione io?
Chissà, magari da loro i coglioni invece sono riconosciuti come individui stimabili, o addirittura geniali!
Magari i coglioni loro sono migliori dei nostri,
ma perdinci,
perquanto coglione alieno
sempre coglione sono!

Ingunde:
Forse è' meglio se non ci vediamo per un pò,
eh?


Parma, 8 marzo 2007

Blasphemous raptus

Presi il Papa per mano e lo portai in camera per mostrargli la mia collezione di crocefissi.
Rimase non poco stupito di fronte a cotanta sacra passionale varietà: si andava da una piccola croce longobarda in bronzo dell' VIII secolo a un simpatico Cristo del 1999 che gocciolava benzina dalle stimmate, la corona di spine s'illuminava stroboscopicamente, e tremando, mugolava "Personal Jesus" dei Depeche Mode.
A dire il vero su quest'ultimo cimelio il viso del Santo Padre si contrasse in una smorfia di disappunto, ma l'apice dello scandalo venne raggiunto quando apparve in tutto il suo grottesco splendore, un Gesù vestito da donna in avanzato stato di gravidanza che poteva bestemmiare in ben 8 lingue diverse, a scelta dell'utente; io, per non mancare di rispetto all'ospite, optai per la lingua madre di Sua Santità, affinchè potesse capire bene ogni parola, non lasciando adito a dubbi.
E questo strano Messia non è che bestemmiasse tanto per il dolore provocatogli dai chiodi, ma imprecava Dio perchè gli toccò di ereditare dalla madre il dono di mettere al mondo un figlio senza essersi accoppiato con uomo alcuno, col piccolo difetto che però questo benedetto figlio non aveva via d'uscita.
Al pomposo vecchio stavano per scoppiare gli occhi dalle orbite, e mi cadde fra le braccia, ed io impietoso, tenendolo stretto per le guance, gli urlavo:
-Cosa c'è? E voi cosa avete fatto? Non l'avete forse reso una bestemmia rivestendolo e imprigionandolo nell'oro e nel potere? Non l'avete forse calunniato e modificato a vostro piacimento, corrompendo il suo semplice amorevole messaggio in cui gli uomini di buon cuore, credono?"
Lui collassò, io inevitabilmente bruciai in tutta la mia irosa arroganza criminale.


Parma, novembre 2006

Il ragnocchio

Dorme, e quando dorme sogna tutti i pensieri inespressi durante il giorno, tutti i pensieri che gli uomini si sono autocensurati o a cui non hanno voluto dare ascolto, uccidendo sin dall’origine l’immaginazione che avrebbe potuto essere ma non è stata.
Le aule di scuola sono gli spazi in cui preferisce aggirarsi, sempre in caccia di cibo, sempre aspettando il momento in cui il povero alunno, colpito dall'improvvisa domanda dell’insegnante, si blocca; più che altro per paura di essere al di sotto di chissà quale esagerata aspettativa.
Perciò, silenzioso, senza dare nell’occhio, striscia a filo delle pareti sulle sue sei zampette aracnoidi, si ferma, rizza le antenne alla prima avvisaglia di cervelli impantanati, e una volta accertatosi della vittima più colma di sapori sopiti, corre velocissimo sotto le sedie, s’inerpica su per il banco del prescelto, salta sulla nuca e succhia con un minuscolo apparato boccale terminante in uncino, posto all’apice del suo corpo-occhio.
Non molto tempo fa –chinato su un foglio bianco proiettante intorno a sè un’interminabile schiera di punti interrogativi esigenti una precisa descrizione di animali da inventare, e quindi mai esistiti, o almeno, mai dimostrati empiricamente-, mi capitò di trovarmene un esemplare di fronte, impertèrrito, che mi fissava senza lasciar trapelare sentimento alcuno.
Inizialmente mi prese un più che giustificabile sconcerto, ma poi con uno scatto insospettabile dell’animo decisi di farmi forza, e come sfidandolo, replicai con la sua stessa fredda intensità: lo sguardo che non pareva smuoversi di un solo millimetro.
Così d’incanto intesi che lui era lì per offrirsi, stava sacrificando la sua natura ai più sconosciuta, proprio a me.
Ed ecco la sua grossa iride violacea mutarsi nel colore delle mie, poi un’umida patina calda ne offuscò la pupilla che prese a tremare, e mi fu facile intuire del suo aver preso coscienza della fine imminente.
Con un secco pugno assestato perpendicolarmente sulla sua presenza, lo incastrai definitivamente fra le righe del foglio che, come per magia, ordinò gli schizzi sparpagliatisi dall’inquietante creatura, in una serie di segni che nel loro insieme, ancora oggi, raccontano di una storia verosimilmente fantastica.



Parma, 10 e 16 ottobre 2006.

Analisi di un fiume

In principio il rivolo timido sgorga dall’imponente ghiacciaio del Monte Ultimodellanno, poi si lancia dall’alto verso il richiamo gravitazionale sotto forma torrentizia e con fragori di cascate nella valle Terrore, discende e si spiega tra rivoltanti tornanti a gomito chiuso, quasi zigzaganti, con improvvise distensioni e altrettanti improvvisi sbalzi di percorso sia nella velocità che nell’angolo direzionale, attraverso il falsopiano della Confusione. Poco rassicurante il suo alveo così stretto, che le cause esterne influiscono fin troppo sulla sua portata , e la pioggia lo fa esondare quasi sempre; vorrebbe starsene in pace nel proprio letto, invece si alza e distrugge. Come se fosse inevitabile.
Il paesaggio intorno a lui cambia ogni volta che la sua violenza s’è esaurita, generando anche nuovi e suggestivi scorci poetici, ma la gente vuole soprattutto limo per coltivare la terra. Lui non gliene lascia la possibilità, perché tanto l’esondazione è un comportamento frequentemente abituale, e se nessuno lo maledice, è semplicemente perché ovviamente nessuno abita e lavora intorno alle sue sponde. Altrettanto, bastano pochi giorni di sole a prosciugarlo.
Anche i pescatori sono rari, dato che perlopiù le creature viaggianti tra quelle torbide e instabili acque, non sono commestibili. I pesci della famiglia Paranoia, seppur non proprio di aspetto sgradevole alla vista, poi in bocca risultano amari e gommosi. Ambiente perlopiù paludoso e fatiscente. Non un parco fluviale. Contorto e non un affluente la cui corrente lo possa raddrizzare, fino poi a sfociare nel mare Isolamento.


Parma, 29 maggio 2004

Sarcastico odiante

-Gente che sfila lungo le vie del centro in ordine di follia pattugliata dall’esigenza di non tradirsi. Si fermano davanti alle vetrine e si specchiano contemplando i propri occhi fatti di strepitosi capi d’abbigliamento, di flaconi sinuosi di profumo, di carta igienica al peperoncino: per poter gridare nel momento del bisogno, per raccoglierli quei bulbi che un tempo contenevano un’anima e ora invece sono lì spiaccicati sul lastricato, caduti dalle loro orbite, vuote. E chi chiede al negoziante perché le scarpe senza lacci e senza suole costano più delle altre?
-Che ci vuole fare, la moda ha il suo valore aggiunto… e non a caso questo è anche il mese gratuito per farsi visitare le ferite-da-chiodi-arrugginiti-che-hanno-straziato-la-pianta-dei-piedi… ma come? E chi è che non ha almeno un piede lacerato? Bah, pezzenti retrogradi!-
A carnevale ogni scherzo vale e ci fa piacere che il Cavaliere abbia sempre così voglia di scherzare, tanto da farci scompisciare di più quando promette, atteggiandosi da chi vuole essere creduto, il bel burlone… massì, l’importante è divertirsi e divertire, e non possiamo far altro che divertirci, quando lui, il capo dei politici, accusa i politici a tempo pieno, gli altri, di rubare alla gente; i ladri quindi sono quei politici che nella politica s’impegnano davvero, cioè quelli che presumibilmente cercano di pensare agl’interessi della gente, e non certo ai propri.
Allora accoglici fra le tue braccia nostro sovrano, ti amiamo, ti lecchiamo l’ano, dacci il nostro quotidiano osso, oh divino faraone del paradosso!
Peccato ci sia chi aldilà dell’oceano sappia far di meglio, anche con il senso dell’umorismo -sempre un passo avanti loro-, adorando chi manda i propri figli in guerre preventive e pronti a sputare merda se invece chi sempre alle manovalanze dei propri fili, in un lontano e incerto passato s’è fatto forse massaggiare il glande dalla propria segretaria! Come se poi le segretarie non fossero pagate per dare una mano al proprio capo affinchè possa svolgere al meglio il suo lavoro, anche aiutandolo a scaricare in qualche modo la tensione, e non piuttosto per colpa di una sessualità repressa da una moglie che non si lascia trombare, poi in un attacco di frustrazione debba dichiarare la guerra al terrorismo… esagerato… eccolooooo… BOMMM! E se fosse così semplice allora evviva i pompini illegali, le scopate extraconiugali e soprattutto le segretarie troie! Sicuro quelle italiane possono anche fottersene se viene tolto l’articolo 18: chi sarà mai il viscido maschione che oserà licenziarle?-
Da una delle vie del centro verso la piazza il giovine confuso cammina a denti stretti, forse più per altre ragioni che per codeste immagini gioiose comunque sia scaturite da ciò che c’è sotto a roderlo, e lo si vede annusare le dita al gusto di canditi che per mansioni legate al suo lavoro gli s’incollano alla pelle. Ha il sangue saturo di zuccheri, fra tutti gli alimenti dolci che ingoia in continuazione, ma i nervi no, sono glassati da una crosta amara. Succede che le vene in momenti di sollecitazione schizzoide si gonfino fino a fare male e la soluzione che ha trovato è quella di farsi piccole incisioni e graffi, così da far fluire via qualche goccia di quel sangue malato, che non sopporta, perché non condiviso. E la gente in confidenza se sa di questo fatto se la prende a male come se gli fosse stato fatto un torto personale. Così lui poi li manda a fare in culo, i pazzi ipocriti che gli dicono di fidarsi e di essere sincero
-Fanculo… tanto poi tutti ’sti Cristi sensibili, come lei, sono spariti, così la sincerità è meglio darla ai porci insieme alle perle
Non tenta il suicidio, seppur sia uno dei due suoi pensieri più frequenti. L’altro è lei che ora incrocia casualmente in piazza. Si salutano.
Lei: -…tu piuttosto, come stai?
Lui: -Direi bene, se non fosse per il porco dio che c’è in ognuno di noi
Lei: -…non bestemmiare… non hai visto come ti ha guardato il prete che è appena passato? Se potesse ti farebbe un culo tanto!
Lui: -Finchè ci prova con me per lui è finita, non so invece per quei bambini che in oratorio stanno piangendo con le mutandine ancora abbassate…-
Lei: -OUH, ma che cazzo è tutta questa acidità?
Lui: -L’aria di oggi ha polveri sottili che avvelenano… ciao.
Lei: -…ciao...
Vai via, ti prego, sei tu il veleno, sparisci… se stessimo insieme ti accarezzerei con la lingua le labbra almeno per tre ore al giorno e il resto, sì, il resto che farei con te. Odio la sensazione di sentirmi abbandonato, come sinceramente ti dissi una volta, forse non mi hai ascoltato. E poi non dire che sono una persona buona e speciale, non osarci, non lo sono e basta-
La gente gira, lei sparisce, lui odia.



Parma, 21/02/2004

Acqua assassina

Giocavo a dadi con mio fratello e lui vinceva sempre, perché barava, ma glielo permettevo perché era più piccolo di me di 10 anni. E quando ci sfidavamo a braccio di ferro, vinceva ancora lui; questa volta ero io a barare, e forse anche se lo sapeva, non gl’importava. La soddisfazione per avermi sconfitto era autentica. Vinse ancora quando senza alcun imbroglio gareggiammo in piscina, sfidandoci in uno sprint lungo una vasca a stile libero. Lui arrivò senza alcuno sforzo in fondo che io ancora annaspavo per raggiungere i tre quarti, e mi derise. Me lo rinfacciò ogniqualvolta volesse dimostrare di essermi superiore, qualsiasi fosse il campo di discussione, e lui giunto più o meno a corto di argomenti, di punto in bianco m’accusava di non saper nuotare, nonostante fossi nato e vissuto per tutta l’infanzia, vicino al mare. Così il dibattito finiva così. Fuori luogo e dittatoriale questa storia buttata lì a soffocare lo stato libero di comunicazione, tanto appunto da riuscire sempre ad ammutolirmi.
Inutile controbattere alla cecità. Solo internamente covavo il mio risentimento.
L’acqua m’ispira tranquillità e sicurezza, ma solo se pensata dall’esterno, così come si sta bene sotto le coperte quando fuori piove e fa freddo, ma il terrore datomi dal non sentire il fondo, togliendomi così l’unico senso concreto di stabilità offerto dalla terra ferma, inibisce l’attrazione che ho per il desiderio di sentirmi sospeso e in movimento in un’altra dimensione, meno vincolante e più propensa ad amplificare certe percezioni, riuscendo a farti sentire più vicino a te stesso, come appunto il galleggiare, il nuotare e l’immergersi, hanno il dono di fare. Oppure è proprio il sentirmi vicino a me stesso, a terrorizzarmi. Fatto sta che, un atto d’incoscienza fece pagare a mio fratello più del dovuto, la sua arroganza, quando giunto all’età in cui potendo guidare il motorino, gli lasciai il mio scooter, ma senza che prima avessi fatto mettere a posto i freni, e senza nemmeno averlo avvisato della loro difettosità, lui che tra l’altro aveva passione per la meccanica. Non lo feci ovviamente di proposito, solo che avendo preso troppo sul serio la sua presunta bravura nei miei confronti su tutto, e quindi se non poteva succedere nulla a me, figuriamoci se lui non sarebbe riuscito a controllare meglio di me il mezzo. Senza neanche pensarci… infatti.
L’acqua non la bevo nemmeno più, ora.



Parma. Un giorno di gennaio 2004

InControfase

Fine del loro primo e unico concerto.
Una data di una tourneè inesistente a tal punto stupefacente, che è stato normale per il pubblico immaginarsi e augurarsi l’inizio di chissà quali importanti progetti da parte della coppia. I due invece si sono accontentati o hanno finto di accontentarsi, solo di un assaggio.
Perché quel feeling che lì sul palco sembrava essere di un’intensità paragonabile solo a un suono di frequenza pari a 70 hertz percepito ai limiti della vibrazione toracica, e solo come questa in grado di scuotere le emozioni di chi ascoltava, è stato scrollato di dosso come se non fosse avvenuto nulla? Come mai appena l’orologio ha emesso il verdetto preindicato dal proprietario del locale, affinchè su quel preciso rintocco avvenisse la decapitazione della musica, loro lo hanno immediatamente esaudito? Nessuno dei due artisti si è ribellato, eppure dovrebbero saperlo che quando si suona bene insieme non ci si può fermare, soprattutto quando il crescendo orgasmico non sembra mai arrivare al termine. Il coito interrotto più che mai in questo caso è stato poco produttivo.
Mai una volta che sul palco si son guardati negli occhi seriamente, non ne hanno avuto il coraggio. Han preferito far credere all’altro che comunque fosse quello sarebbe stato un gioco, bello perché bello sarebbe stato romperlo subito, un’avventura usa e getta consapevole della sua eccezionalità. E anche se l’hanno sentita comprimere nel cuore, quella molla che avrebbe dovuto far gridare all’altro: "Noi due insieme spaccheremo il mondo!", non è scattata. Non l’han voluta far scattare.
Paura di cosa? Inibizione dovuta a che?
Lei e la sua graffiante voce, in grado d’insinuarsi sottopelle e scorrendo capace di urtare e sfiorare le vene, le quali sollecitate e solleticate giungono a gonfiarsi allo spasimo, fino a far ribollire i pugni stretti nella loro stessa morsa d’eccitazione implosiva.
Lui e la sua chitarra elettrica perlopiù così vorace nel mangiarsi le melodie costruite dalla voce, assorbendole fra le corde per poi risputarle fuori in un’amalgama corrosivo nevrotico come una piccola verde palla rimbalzina scagliata da un bambino non soddisfatto dai propri genitori a proposito del suo ennesimo capriccio assurdo; mentre altre volte il movimento delle dita era intento a farle uscire queste melodie, prima suggerendole, poi spingendole, accarezzandole, spingendole ancora, o controbattendole sia ritmicamente che con dissonanti contromelodie, arpeggi, oppure pause, affinchè risaltassero con ancor più splendore staccate com’erano dal resto, come una giovane principessa affacciatasi dalla balconata della propria stanza per godersi l’aria scheggiata proveniente dalle montagne sullo sfondo impressionato da un viola d’alba, e un cavaliere che dalla selva inaspettatamente la vede, e non visto è costretto a fermarsi dall’incredibile spettacolo che gli si presenta dinanzi: la bellezza della principessa ancor di più messa in evidenza dalla fatiscenza malinconica, incastonata nella lucida penombra mattutina, del castello da cui essa è sorretta.
La voce di lei è la principessa, la chitarra di lui è il castello spigolosamente diroccato. I frutti del loro incrociarsi e fondersi tra melodie, impasti e disgregazioni sonore varie, è tutto un gioco di luci e ombre, diurne e notturne, nelle quali nel loro connubio si mostrano all’occhio fortunato di chi può, e di chi avrebbe potuto in futuro ammirare.
È infatti terrificante e ingiusto lasciar che la principessa si suicidi o che il castello crolli, e che quindi per il cavaliere-ascoltatore non potrà più esser possibile avere una ragione per soffermarsi da lontano in direzione dell’evento magico, dimenticandosi per qualche istante dei ladri inesistenti a cui deve dare la caccia!
Se si deve cercare un disguido durante il concerto che possa giustificare la fine dell’inizio, può venire in mente solo quella manciata di secondi in cui l’udito del, fino ad allora, estasiato pubblico è stato minato e distolto da un principio di fischi simile a gesso tagliato di piatto e pressato su lavagna scolastica, misto ad un gracchiare tipo coro di ranocchiette orgiastiche, offuscanti la voce di lei mentre strofeggiava: " Ora tu impari sulla mia pelle a schiacciare gl’insetti isterici della tua mente…" , subito risolto dallo stesso fonico provocante il danno, che chissà per quali pruriti suoi aveva toccato il livello di volume in entrata, distorcendo arrogantemente la sublime voce, la quale non desiderava altro che rimanere fedele a sé stessa. Ovvio perciò che questo non intacca affatto i meriti dei nostri due eroi.
Non c’è proprio alcun motivo apparente che renda credibile alla fine del concerto la fredda stretta di mano, quasi timorosa, con la quale si sono salutati e senza nemmeno aver bevuto una birra insieme.
Forse almeno uno dei due(basta uno e l’altro si annulla) o entrambi, han creduto che l’altro non fosse intenzionato a continuare, forse per non rovinare nel ricordo la bellezza di quell’evento temuto come irripetibile(e questa sarebbe stata la solita scusa), oppure non hanno osato proporsi nulla di durevole per non far credere all’altro di non riuscire comunque a suonare allo stesso modo anche da soli o con chissàcchì. E per paura di perdere quella luccicante stima reciproca fino ad allora alimentata, è stata innalzata la solita barriera dietro cui nascondersi e marcire.
Così ciascuno dei due tornerà a scriversi le proprie canzoni masturbandosi sul proprio strumento, togliendosi la possibilità di compensare i propri consapevoli vuoti creativi con il talento perfettamente incastrabile al proprio dell’altro, quando già era risultato evidente da quel concerto che solo insieme potevano raggiungere la di sé tanto ambita inglobante sensazione di pienezza artistica.
E quando in studio di registrazione intenti separatamente e in tempi diversi a farsi su un demo con i propri pezzi, ripiegati su se stessi come tipiche solitudini dimezzate, si bloccheranno appena il tecnico del suono gli ricorderà semplicemente come avverà la registrazione stereofonica, poiché il senso di colpa li assalirà pensando che solo all’altro sarebbe dovuta appartenere la traccia di sinistra se non quella di destra, poi da entrambi contaminate; solo con lei o con lui avrebbero potuto aprire la sensazione spaziale di suono, per stupirsi ogni volta da destra o da sinistra l’uno della trovata dell’altro, per infine risolversi in centro, abbattendo limiti poi sprigionanti energia pura tendente all’infinito.



Ispirato da taluni appunti di fonica
dalla musica dei Sonic Youth
da "Fedra" di Ghiannis Ritsos
Parma 3/07/03
Con alcune modifiche del 27/11/03

Vietato ai maggiori di diciotto anni

La donna e la sua bambina entrarono nel bar situato in mezzo a Strada del Duomo. Più che altro per riscaldarsi dal freddo che c’era, e nevicava con una certa insistenza. Si tolsero i cappotti e si sedettero a un tavolino, ordinando dopo pochi minuti un the alla menta e una cioccolata con panna.
Così trovarono un argomento e ne parlarono. La giovane madre sembrava interessata al litigio avvenuto tra il maestro d’inglese e la maestra di matematica. La figlia era alquanto puntigliosa nel raccontarle i dettagli.
- " Dev’essere una dote di natura per le donne il pettegolezzo concitato, tant’è che già lo esercitano con notevole dimestichezza sin da quando le parole nell’uscire di bocca, hanno una fluidità espressiva comprensibile ai più, ovvero intorno ai quattro-cinque anni." - Questo formulò l’uomo seduto da solo all’altro tavolino del locale. Non era uno impegnato a non farsi i fatti propri, ma non essendoci nessun cliente oltre a lui e la coppia, fra un bicchiere di San Giovese e l’altro, l’orecchio scappava, e in quel momento scappò proprio mentre all’insegnante d’inglese scappò un ceffone nei confronti della propria rivale.
E poi formulare era l’unico sottile piacere rimastogli, perciò lo sfruttava ogni qualvolta l’occasione gli pareva propensa.
L’uomo tornò a immergersi nel vuoto alcolico, fin quando un fremito improvviso passatogli per la fronte, che subito riconobbe, lo portò a voltarsi verso la donna con il bordo della tazza di the fra le labbra. Si fissò come incantato: sospeso sul femminile sopracciglio nero e fine, c’era un fiocco di neve ancora integro, e non si scioglieva.
Non era altro, era proprio neve.
Eppure saranno stati già venti minuti buoni che il tepore dei termosifoni del bar, oltre al corpo della donna stesso, influiva sul cristallo ghiacciato.
Per l’uomo non fu una novità assistere a un prodigio del genere; evidentemente c’era portato… da sempre si trovava a scoprire strani fatti generalmente composti da piccole quantità di materiale eppure così immensamente assurdi. Anzi, più erano piccoli i soggetti-oggetti, tanto più era assurdo ciò che accadeva loro. Lui era come un astronomo, solo che invece di essere rivolto con accanimento verso le enormi grandezze dello spazio, si trovava succube di piccoli avvenimenti a portata di mano, che lui giustamente chiamava "le stelle di neutroni dell’assurdo". Era un astronomo inverso.
Qualche tempo prima aveva provato a raccontare ai suoi amici ciò di cui era testimone, ma loro si limitavano a bollarlo come uno che beveva troppo; lui controbatteva senza pretesa alcuna di bere il giusto, poiché il vino era esclusivamente un piacere.
Ma ora non gl’interessava più essere creduto. Ora non aveva più amici. Ora beveva davvero troppo: il vino era diventato un’indifferenza di cui non poteva fare a meno, come tutti i vizi.
Tre giorni prima, nella sua stanza, vide una zanzara accoppiarsi con una mosca… eppure era già pieno inverno!
La bambina continuando a discorrere del più e del meno, con tanto d’approvazione materna, rimosse quell’eterno fiocco di neve come se nulla fosse. Poi se ne andarono.
L’uomo ci rimase male e collegò con una personale deviazione, il proprio vecchio dilemma su come mai nessuno avesse mai fatto un film, o scritto un libro, valutato dalla commissione della censura come vietato ai maggiori di diciott’anni, a quando da ragazzo smise definitivamente di essere felice da quella volta che sua madre lo scoprì esser lì lì per realizzarsi… fare fotografie era la sua passione;
Così si disse: - "In talune famiglie l’ordine vuole essere esclusivamente creato tramite la forza violenta di una scala gerarchica tirannica basata sul terrore, in cui ognuno paga le frustrazioni altrui. Ciò che rimane perciò è solo la frustrazione, il terrore, il senso di colpa, di generazione in generazione." - Un altro bicchiere andò giù.
Da fuori venne un rumore fortissimo, come di squarcio, e la terra tremò.
- "I bambini per acquisire posizioni il prima possibile nella scala gerarchica, qualunque essa sia, vogliono fare i grandi, così qualche volta addirittura, non ammirano come solo loro saprebbero fare, i fiocchi di neve. Mentre gli adulti son troppo ormai corrotti per riuscire a tornare bambini, ed essendo la censura composta da adulti, si concedono di poter assistere a tutto quello che vogliono, come se loro sapessero evitare e capire con certezza cos’è il male, quando invece ci sguazzano quotidianamente dentro, vietando allo sguardo disincantato del bambino, spettacoli da cui quest’ultimo potrebbe solo trarre vantaggio. Gli adulti, per vendicarsi della loro perduta condizione, allontanano dai bambini ciò che solo il disgusto e la paura può tirare fuori da loro, ovvero la capacità di porsi al di sopra della violenza, della pornografia, della politica, interessandosi così a mantenere intatto solo il proprio spirito d’osservazione puro senza intralciare poi l’altro con qualche importuna azione pronta a uccidere qualsiasi tipo di sensibilità di ciascun individuo a sé vicino. Non c’è peggior crimine che soffocare il genio di qualcuno, e per non correre il rischio, è legittimo curarsi del proprio, d’ipotetico genio.
Cogliere… imparare a cogliere… cogliere… cogliersi…"
- iniziò a ripetersi paranoicamente.
Ancora preso dalle proprie distorsioni, non s’avvide delle luci spente e degli scaffali del bar crollati con tutte le bottiglie e bicchieri rovesciati, lui notò solo che non c’era più nessun’anima viva oltre a lui là dentro, e uscì avviandosi per la propria strada, mentre alle sue spalle, in Piazza Duomo c’era un cratere sputante fuoco abbastanza grande da esser riuscito a ingoiare l’intero Battistero di marmo rosa. La gente urlava.
L’uomo dirigendosi nella direzione opposta, non sentì e non vide nulla, nonostante fosse distante solo un centinaio di metri dal cataclisma - del resto lui sapeva riconoscere solo gli strani piccoli prodigi, quelli di cui nessun’altro era a conoscenza.


Parma 15/01/2003,
e giorni precedenti e seguenti.

Interferenze oniriche

Nella stanza buia per lei la fine era vicina, e terrorizzata imponeva i suoi gemiti per tentare di ritardare quello che poi comunque sarebbe avvenuto…: "Non spararmi… perché… perché?… cosa ti ho fatto?" Lì, in ginocchio davanti al suo ragazzo… ai piedi del letto in cui loro erano consueti addormentarsi insieme… la tapparella era alzata e solo un lieve biancore filtrava attraverso l’afa assassina… c’era ancora troppo caldo… ma in quel momento la luna a tre quarti non era d’alcun aiuto… lei accasciata subiva una pistola puntata alla tempia.
"Ma cosa stai dicendo amore? Ormai è tutto a posto!" Lui era così sereno.
"Smettila… mi fai paura… questo gioco non mi piace… sto tremando… ti prego… mettila giù…" Lei continuava a sudare e a piangere… anche il ragazzo sudava, ma non pareva disposto a cedere.
"Ehi piccola, stai tranquilla! Tira su la testa e guarda che bella luna… oh… come potrei stare senza di te?… Guarda come ti voglio bene…" …avvicinò la sua mano al viso della fanciulla, che capì le sue intenzioni.
" Io… tu sei pazzo! No… no… scusa… ok ti dico la verità, ma non farmi male… ti ho tradito, è vero… ma avevo bevuto quella sera… non mi ricordo niente… non ero in me… ero andata a quella festa e tu non c’eri… eri a studiare in Inghilterra… mi mancavi moltissimo… no, non ti prendo in giro… sì… ci sono cascata come una scema… ero completamente ubriaca… poteva esserci qualsiasi persona in quel momento, ma per me eri tu… io pensavo a te… cosa?… non dire così… io ti amo… no…".
Lui era felice… la città immobile… dalla finestra con il solo sguardo la dominava… lì piegata al suo servizio c’era chi voleva… finalmente aveva avuto il coraggio di mollare la sua ragazza… era diventata così noiosa e patetica… le aveva telefonato annunciandogli con schietta sincerità che la loro storia era finita… e ora da questa ragazza conosciuta in Inghilterra non poteva chiedere di più… per lui era il massimo… dolce… disponibile per qualsiasi cosa… sì, proprio così… ogni sua fantasia animalescamente maschile veniva concretizzata senza opposizione alcuna, come ora appunto stava accadendo… la lingua ormai la conosceva alla perfezione… fino in fondo… si sentiva libero, poiché era padrone… tornò a guardare il cielo…: "In fondo il nostro amore sarà eterno… like this beatiful night!"…ansimando sorrise piacevolmente soddisfatto… in fondo era una perla poetica che usava sempre… ad ogni nuova conquista… non accorgendosi che così la notte, almeno per lui, non poteva essere eterna… ma aver espresso quella frase significava farsi passare addirittura come un romantico… da chi a suo stesso modo crede che il romanticismo sia questo smerciare scontate e squallide smancerie... infatti il cielo astratto, irritato da tali volgarità s’annuvolò improvvisamente, e si scaricò riversandosi in un eclatante fulmine.
Lei singhiozzando fece in tempo a dire: "…lascia passare quest’orribile notte… lasciami vivere…"
BOM! …un colpo solo…
Si svegliarono contemporaneamente… il vento aveva sbattuto la porta… si guardarono negli occhi ritrovandosi vivi nella solita realtà … lei aveva il viso rigato… lui sospirò… non spiccicarono una parola… così, per risolvere pacificamente i propri segreti, ad entrambi sopraggiunse l’istinto di fare del sesso… e lo fecero, ma con un moto così armoniosamente coinvolgente che molti, se avessero potuto assistere allo spettacolo, avrebbero semplicemente detto che sicuramente facevano l’amore.



(Parma 11 e 12/10/2001)

Escrementi di piccione

Ho finito di lavorare alle 14, e stavo tornando a casa in macchina accompagnato da Roberto, un ragazzo che gentilmente mi ha dato un passaggio… c’era il sole.
Disperdendoci in un paio di quelle chiacchiere usate per non lasciare che il tempo resti senza suoni decifrabili, così tenendo lontana dalla mente qualche possibile idea d’omicidio nei confronti dell’altro, ho notato nel finestrino dalla mia parte una grossa incrostazione bianca, così, ridendo mi sono voltato verso l’autista e gli ho detto:
- Vè… che bella cagata di piccione!-, per poi giungere improvvisamente nel baratro inaspettato della sua domanda :
- Hai pensato come il cielo sia grande e i parabrezza siano così piccoli in confronto?-
- Sarà che sono attratti dalla luce riflessa dai vetri! - .
Noi, esseri sparlanti, fissati ad una base prestabilita, certi della propria identità e del proprio spazio vitale, tenuti in equilibrio da un filo che ci lega a un punto che è stato posto in alto solitamente da qualcun altro prima di noi e per la suddetta ragione improbabilmente lo capiamo, ma ciò non importa poiché ciò che conta è non farsi vedere barcollanti nel confronto… la prima legge fondamentale per vivere "nel miglior modo possibile" tutti insieme è non far conoscere al prossimo la propria debolezza… ed eccoci giunti nell’era cibernetica… un’era vissuta solo dall’America e dai suoi satelliti… chi è debole ne resta fuori!
Siamo per giunta paragonabili ai piccioni, attratti dalle infinite possibilità di riflesso della luce, disinteressandoci alla fonte di luce originale in quanto inaccessibile… e quindi non potendoci riversare sul sole, defechiamo su uno dei tanti parabrezza solo perché è la forza di gravità a permettercelo.


Parma 18 e 19/04/2001

Sotto l'albero

Diciamo pure che come la stragrande maggioranza di tutti i bambini che a loro tempo hanno creduto in Babbo Natale, giunge quella vigilia in cui programmi di scoprire il momento fatale in cui il misterioso essere si presenta alla tua casa con i sospirati regali. E forse questo giorno non sarebbe mai arrivato, se non si fossero insinuati nella tua mente i primi dubbi illeciti, che i bambini più grandi ti hanno immesso, sulla sua esistenza.
Ecco quindi che dopo l’apocalittica abbuffata con familiari vicini e lontani, dopo le rumorose risate degli adulti dovute al troppo vino, e infine finalmente, dopo i saluti calorosi con abbracci, bacetti, e strizzatine di guance accompagnate dai consueti pacchetti e auguri vari, la casa resta deserta e tu felicemente esausto vieni portato a letto dalla mamma, che con un sorriso ripete per l’ennesima volta che per te il bello deve ancora arrivare… ma bisogna aspettare e soprattutto dormire! . . . "Ma certo, cara mammina, non è il caso di preoccuparsi tanto, non vedi come già gli occhietti si chiudono da soli?". . . Al fine che i nostri bravi genitori pacificamente rassicurati portino i loro corpi stanchi fra le lenzuola matrimoniali, non dopo aver ripetuto la stessa commedia con gli altri fratelli.
Allora cosa succede? Che aspettando pazientemente la quiete più assoluta dove tutti i movimenti si spengono con fermezza, arriva il momento di agire. Così scesi dal letto scalzo e mi appostai dietro la finestra per scoprire ogni possibile presagio che potesse disincantarmi dal dubbio. Il cielo era più stellato del previsto, visto che avevano diagnosticato brutto tempo, e poi non c’era neanche tanto freddo per essere dicembre. Ovunque mi voltassi assorbivo inerme le luci colorate sulle verande delle case e dei negozi vicini. E mentre un po’ tremavo, dentro di me continuavo insistentemente a chiedermi quanto cavolo di tempo ci mettesse questo illustre signor Babbo Natale! Io la mia lettera l’avevo consegnata alla maestra come tutti gli altri miei compagni di classe, con tanto di indirizzo verso le polari terre della Lapponia: quell’anno desiderai una chitarra vera e un videogioco portatile. . . ma più che altro la chitarra! Forse non ero stato tanto buono? Ma se era per questo, non credevo affatto che a Babbo Natale gli importasse molto della "bontà" dei bambini, e più che altro quale sarebbe stato il suo metro di giudizio? Certo i bambini non hanno mai scatenato una guerra, ma solo perché non ne hanno il potere altrimenti chissà in quanti avrebbero mai vissuto l’adolescenza…no, i bambini non sono buoni! Infatti indifferentemente dai caratteri e dalla predisposizione a nuocere, di tutti i bambini che conoscevo nessuno a Natale non ha mai ricevuto un regalo, o almeno nessuno ha mai avuto il coraggio di dire il contrario, altrimenti sarebbe stato terribile.
Passate le due di notte, dopo mezz’ora di appassita attesa, in fondo alla strada vidi una luce fioca che si avvicinava, ed era proprio la strampalata slitta del famoso benefattore natalizio, ma non essendoci neve invece dei pattini aveva quattro ruote gommate. Parcheggiò il mezzo proprio nel mio giardino, con tutte e dodici le renne che istintivamente cominciarono a mangiarne l’erba per la felicità dei miei genitori: ma che bella sorpresa per il mattino di Natale, un bel giardino rivoltato a nuovo con tanto di concime fresco fresco direttamente dalle terre del Nord! Se avessi avuto una carabina non avrei esitato un attimo a sterminarle tutte le incomode bestie cornute… "E bravo Babbo Natale, la tua prima cazzata l’hai compiuta, ora vediamo cosa saprai proporci!"…così senza aver bisogno delle chiavi, entrò in casa dalla porta principale con il magnifico sacco per cominciare la sua opera: un ladro professionista, se non fosse che invece di rubare, donava: era forse pazzo?
Io mi spostai dalla camera alle scale, e soffusamente presi a scenderle, nascondendomi poi dietro il divano della sala, proprio di fronte all’albero; lui non si accorse di nulla poiché fermo all’ingresso, era troppo concentrato a scorrere con la vista una lunghissima pergamena avvolta su se stessa. Quando arrivò a quello che cercava, con un sorriso si piegò sul suo sacco e lo riprese in spalla, e lemme lemme si trascinò sino all’albero. Così dopo aver riposto la pergamena, cominciò a tirare fuori i regali vari e col fiatone prese a elencare a bassa voce:
- Allora… questo computer è per Francesco e lo mettiamo qui… mentre questo orso parlante è per Jacopo e lo mettiamo qui… poi… mmh… no, siamo a posto, non mi dimentico niente… posso andare-.
Cosa? Non avevo capito bene, dopo avermi stupito con un italiano perfetto, mi deludeva così? La rabbia saliva sempre più, e proprio mentre stava per uscire io scattai di colpo e gli urlai:
- Ehi, cosa fai? Ci sono anch’io, torna qui e dammi ciò che è mio!-.
Il vecchio si spaventò non poco, e probabilmente il suo debole cuore ne risentì; così dopo essersi ripreso dal colpo mi disse tremante:
- A parte il fatto che tu dovresti essere a letto! E poi piccolo mostriciattolo, vedi di calmarti un po’!-
E’ tutto qui il carisma pacato e paziente di Babbo Natale?
- Comunque il tuo dono l’hai già ricevuto… non vedi sotto l’albero?-
- Ma, mi stai prendendo in giro? Io vedo solo i regali che hai portato ai miei fratelli… e io? …e per me niente? – Avevo gli occhi sbarrati pronti a esondare tutte le lacrime accumulate.
- Non ci devi vedere bene… il tuo regalo è il più grosso di tutti. Sotto l’albero c’è l’intero pianeta e io l’avevo lasciato per te! Da domani avresti potuto farci tutto quello che volevi, ma a quanto pare non lo meriti… toh, tieniti pure la tua chitarra!- E sfilandola dal sacco me la diede direttamente in mano, e fui felice.
Ingenuo, decisamente ingenuo, come tutta la felicità infantile che in quel momento provai. Quella fu l’ultima volta che venne Babbo Natale, quindi per comodità non volli crederci più. Avrei potuto avere tutta la Terra con i suoi beni: lo so, anche allo stesso Gesù durante la quaresima gli fu offerto da Satana il mondo e lo rifiutò; ma io non ero in quaresima, e poi Babbo Natale non era il diavolo, così come io non ero (e non sono) Gesù! O sì?
Mi è rimasto perciò tutto ciò che c’è sopra la Terra: tutta l’inutilità, come il cielo con le sue stelle e i suoi buchi neri, nella quale talvolta vengo risucchiato.


Parma. Dal 18 al 22/12 e 29/12/2000

Il nido

Puoi aver pensato a tutt’altro sino a quel momento: alla giacca di pelle nera, alla soggettività dell’oggettivo, al seno abbondante della ragazza appena passata… ma poi quando scopri una multa di centoventunomila e "Duecento lire" (sono i piccoli particolari, quelli che poi ti fanno più incazzare!), che è anche la prima, sul tuo Ciao blu parcheggiato, e neanche tanto male, sul marciapiede di Piazza Garibaldi, non pensi più a niente, se non all’ingiustizia da poco "subita"!
È come quando si ha mal di denti o qualsiasi altro dolore fisico senza averlo assolutamente previsto, in quanto appunto, si era impegnati a pensare ad altro.
Le varie ragioni che ti permettevano di restare rinchiuso e al calduccio nel tuo protettivo nido, si slegano d’improvviso, e cadendo giù dall’albero senti inevitabilmente dolore. È lo scontro tra la materia del tuo corpo, e la materia della terra cioè "l’inaspettata" pratica da svolgere della vita reale: fino ad allora non ti apparteneva, al limite la osservavi dall’alto e basta.
Se hai mal di denti devi andare dal dentista, e se prendi una multa dovrai pagarla.
Non puoi concederti che si aggravi la situazione, devi risolverla il prima possibile o sei finito.
Intanto io ho preso il motorino, sono andato a casa, ho mostrato il foglietto giallo a mia madre assorbendone l’ovvio interrogatorio con conseguente condanna, e con un balzo sono tornato nel mio dorato nido.
Finché posso goderne ancora.

Parma 29/09/00

Festa in maschera

Stavo prendendo quella pillola viola che m’avrebbe cambiato per sempre.
Ho chiuso gli occhi e ho mandato giù con un po’ d’acqua;
ora non mi toccava che aspettare.
Ma non potevo stare in casa, volevo vivere la mia trasformazione in mezzo alla gente per inebriarmi del meraviglioso orrore che si sarebbe formato nei loro occhi.
Non lo so ancora se io fossi pronto e se volessi veramente cambiare, ma la mia nuova e rischiosa voglia di provar tutto, anche se questa volta sarebbe stato qualcosa di definitivo, non m’ha lasciato scampo; e io ho accettato senza alcuna esitazione l’offerta di quell’uomo sconosciuto che camminava nel crepuscolo, isolato dal mondo.
C’eravamo solo io e lui.
Avrà avuto sulla cinquantina d’anni, era brizzolato, messo abbastanza in carne e vestito elegantemente, credo… non mi ricordo bene come, poiché l’oscurità copriva i particolari e poi io stavo pensando ad altro.
Comunque lui mi ferma e mi presenta la sua merce con voce sobria ma suadente, diciamo che sapeva fare il suo lavoro; io lo ascolto, e sempre più attratto dalla sua placida follia, mi convinco di voler vedere le cose in maniera diversa… opposta.
Finalmente avrei potuto capire quel vittimismo nato dall’invidia o da chissà cos’altro, che le donne talvolta mostrano nei confronti degli uomini, finalmente avrei scoperto le differenze nella natura dei due sessi.
Quali nuovi dolori e nuovi piaceri m’avrebbero sconvolto in questa nuova dimensione!?
Sì, volevo la magica pillola!
Lui m’avvertiva, tanto perché doveva farlo, che non sarei più potuto tornare indietro poiché il mio fisico non avrebbe sopportato ancora un così tremendo scossone, ma io già non l’ascoltavo più, già con la mente stavo viaggiando alla ricerca di tutto ciò che di nuovo avrei potuto fare.
Avevo appena ricevuto dalle mani di quello sciamano la bustina contenente il prodotto, che lui mi blocca poiché c’era ancora una piccolezza di notevole importanza da mettere in pratica: mi prende una mano e ci infila dentro un sottilissimo ago con una specie di valvola in cima.
Che violento bruciore si propagò dalla mano sino a tutto il braccio!
Stavo per reagire contro codesto uomo, ma anticipandomi mi spiega l’esigenza di tutto ciò: la mia pressione interna, nel cambiamento, si sarebbe notevolmente alzata e il mio sangue nel suo rinnovo ormonale, necessitava di uno sfogo.
Cominciai a ridere nell’immaginarmi simile a una pentola a pressione… chissà, magari sarei scoppiato come in uno di quegli assurdi cartoni animati giapponesi!
Lo ringraziai senza tanti fronzoli, e mi avviai verso casa.
Quella sera ero stato invitato a una festa in maschera a casa di un mio amico giù in paese, e tu guarda a volte, non ci poteva essere occasione migliore per non cadere nell’ultima tentazione!
Che ammirazione avrebbero avuto gli altri per me, per la mia maschera… sarebbe stata sicuramente la migliore, una maschera sempre più vera al trascorrere del tempo, una maschera che avrebbe preso il mio posto una volta per tutte, tra lo sbigottimento e l’incredulità della gente.
Entrai in casa, i miei non c’erano, era ancora presto per la festa e non avevo fame.
Così andai in bagno, mi spogliai e presi ad analizzarmi innanzi al grande specchio, sicuramente per l’ultima volta in quelle condizioni, ma forse era anche la prima, poiché, solo quando scopri che qualcosa che ti riguarda sta per finire, cominci a guardarti con sospetto e con un pizzico di paura!
Sì, bene o male ero un uomo; ma per quanto ancora? Avrei avuto nostalgia di quel corpo?
Nella mente scorrevano tutte le immagini passate di me, della mia evoluzione; da bambino, che nell’esplorazione del mio corpo, venivo metodicamente censurato, così come tutti i genitori penso facciano nei confronti dei loro figli, ogniqualvolta scoperto, m’inoltravo in zone considerate pericolose, perché così ci è stato insegnato dalla morale comune.
Ora mi vedevo all’apice del mio sviluppo, al termine della mia adolescenza, poi il processo naturale in questo corpo avrebbe cessato di avvenire, avrei vissuto il disfacimento del mio essere in un nuovo involucro.
Dopo dieci minuti cessai di scrutarmi.
M’immersi spensierato nella vasca ricolma d’acqua calda, e quando uscii da questa placenta virtuale, sapevo di rinascere e piansi come un neonato.
Gli abiti che avrei dovuto indossare quella sera erano tranquillamente distesi sul mio letto, lì che m’aspettavano, ma io non aspettavo più loro, e chissà come soffrivano nel vedermi passare davanti senza più alcun interesse. Avevo deciso di nascondermi nelle vesti di un granduca settecentesco, con tanto di voluminosa parrucca bianca e riccioluta, ma ora quella parrucca non mi sarebbe servita più, ed era lì sul letto con tutto il suo orgoglio ucciso senza pietà.
Andai in camera di mia madre, aprii il cassetto della biancheria intima e scelsi un reggiseno nero; io non me ne intendevo e non sapevo se mia madre avesse gusto o no, anche perché io non ne ho mai regalato uno – a chi avrei mai dovuto regalarlo? – "Mi sembra alquanto imbarazzante scegliere qualcosa che sia a diretto contatto con la carne di qualcuno che non sia la mia, e poi io non ho mai avuto una ragazza; penso che sia un qualcosa di forzato e banale, o forse sono solo scuse per nascondere la mia paura interiore che nasce dal fatto di non voler condividere me stesso in tutto e per tutto con un essere diverso, che potrebbe condannare ogni mio presunto errore e rinfacciarmelo a suo piacimento, e forse l’unico errore è stato quello di non crederci mai, io che ora sono disposto a provare qualsiasi cosa!" , questo fu quello che pensai.
Sta di fatto che mi tolsi l’accappatoio e misi su il reggiseno, non senza qualche difficoltà, ma era già prevista, dopo di che trassi dal medesimo cassetto un paio di mutande, sempre di mia madre, e lo indossai il più velocemente possibile, perché chiaramente se fossi rimasto anche solo un attimo a pensarci su, chissà quale tragedia sarebbe avvenuta.
Poi mi fermai.
Guardai l’orologio appeso in camera, erano le sette e trentacinque, mancava ancora un’ora e mezzo all’appuntamento.
Mi levai infastidito il reggiseno e le mutande, non mi appartenevano per il momento, quindi con il cuore che cominciò ad accelerare, m’appoggiai di nuovo l’accappatoio, presi una sigaretta, m’adagiai sulla poltrona e l’accesi. Un minuto di passività. E poi andai alla finestra.
Era già buio e pioveva.
Mi chiedevo se non fossero le condizioni meteorologiche a determinare le mie condizioni interiori, a dare una certa forma all’umore dei miei pensieri e delle mie azioni, non lo so, magari dando solo una base allo sviluppo di ciò che potevo sentire. Intanto m’accorsi che in certi periodi dell’anno vivevo alcuni fatti impossibili da vivere in altri periodi perché ne avvenivano altri di diversi anche se pur sempre negativi(e chissà perché sono solo quelli, solitamente, a rimanermi incisi sulla corteccia cerebrale!), ma propri di quella stagione e di quel mese, come un ciclo; forse era così perché ero io a volerlo credere, in quanto ricordando ciò che era avvenuto nello stesso periodo dell’anno prima, mi convincevo che dovesse succedere ancora.
Ma da ora in avanti non sarebbe più stato così poiché avrei dovuto convivere con un nuovo istinto che m’avrebbe liberato da tutti i tormenti del mio vecchio essere! …almeno questa era la speranza.
Ormai ero pronto ad andare, indossai ciò che c’era da indossare, finii con cura la mia preparazione esteriore, deglutii la pillola e uscii.
La stradina di montagna era viscida, ma non pioveva più.
A piedi ci avrei messo un quarto d’ora e a me stava bene, così feci i primi passi quando mi sentii richiamare da un clacson:
- Vuoi un passaggio?-
- Se vai in paese, volentieri-
E montai sulla decappottabile rossa di Martina.
- Allora dove vai di bello? Non mi dire che vai anche tu alla festa?-
- Va bene, non te lo dico- risposi ridendo, – perché? vieni anche tu?-
- No…no, ho un altro impegno. Te l’ho chiesto perché sembra che siano tutti lì stasera-
Non la conoscevo da molto ma era proprio una bella ragazza; una di quelle ragazze per cui non è difficile perdere la testa, e mi dicevo che per una così si poteva decisamente restare uomini, ma non ci soffrivo pensandolo poiché ne ero molto distaccato, una cosa che avevo imparato a fare solo da poco e ora più che mai mi era indispensabile, o forse anche questa era solo una condizione stagionale.
L’avevo incontrata per la prima volta in piscina, qualche mese prima, e rimasi praticamente senza fiato… con un fisico del genere per forza! Infatti non mi ricordo bene di cosa avessimo parlato, so che studiava da qualche parte ed avevamo delle amicizie in comune… ah sì è vero! Se no non saremmo stati tutto il giorno con lo stesso nucleo di persone.
La cosa che comunque più mi colpiva di lei, era il viso: profondamente delicato. Ed è difficile poter affibbiare a un viso una qualità del genere, pur quanto femminile possa essere.
Poi ci eravamo visti altre due o tre volte, e ora volevo chiedergli scusa, poi le volevo chiedere un favore e poi mi sarebbe piaciuto confidarmi. Era l’ultima volta che mi avrebbe visto così, ma non realizzai nessuna delle tre intenzioni, bisognava trattenersi il più possibile sennò sarebbe svanito tutto l’incanto. Era chiaro che invece volevo semplicemente saltargli addosso! Avrei potuto tentare di approfittarne visto che avevo poco tempo, ma non lo feci.
Com’era deliziosa, e ciò mi dispiacque.
- Cos’hai fatto alla mano?- mi domandò, notando la fasciatura con cui mi
ero avvolto per non esporre al pubblico il mio sottilissimo ago.
- Ah niente, mi sono scottato con la pentola a pressione, ma nulla di grave!-
Non era proprio una bugia, anche se non sembrava che i miei ormoni si stessero rinnovando, anzi erano ancora più forti, forse si stavano prima concentrando. Però riuscivo ancora a controllarmi, per fortuna di Martina!
In quel momento, guardandola, pensai che quando sarei diventato donna sarei stata sicuramente omosessuale.
Entrati in paese le campane suonarono le dieci, e arrivati nel piazzale della Chiesa , l’auto decise di frenarsi: forse voleva fare una preghiera per me!
Invece dovevo scendere.
Fissai gli occhi di Martina con malinconia e la salutai, ma anche lei era malinconica. Forse per solidarietà nei miei confronti, oppure anche lei aveva preso la mia stessa pillola : allora in quel caso non ci sarebbe stato più alcun problema, ci saremmo amati ugualmente!
Mi limitai a darle un "bacino" sulla guancia, come sempre.
- Bye bye!- ; smontai dalla macchina.
- Divertiti! - ; mi lasciò smontare dalla sua macchina.
E finì così.
Stavo salendo le scale che m’avrebbero portato al terzo piano: il baccano che si sentiva mi stava di già isolando.
C’era un sacco di gente e nessuno sembrava essersi accorto della mia presenza, "meglio così" pensai "almeno per ora, visto che il meglio di me lo darò solo tra poco". C’erano proprio tutti, oppure quando c’è tanta gente anche se manca qualcuno è irrilevante, tanto così sono tutti uguali!
Era la massa indifferente che mi girava intorno.
Infatti c’erano anche molte persone che non avevo mai visto ed era proprio grande la casa del mio amico! Aveva proprio tanti amici il mio amico!
Le tavolate erano ricolme di cibarie, io però non mangiavo… logicamente! Era meglio mantenersi a stomaco vuoto poiché il mio fisico era già occupato a svolgere un’attività abbastanza impegnativa. Non volevo rischiare di stare male dinanzi a tutti. E tutti erano vestiti con ciò che conviene quando si sa che tutti si devono mascherare: c’era la solita strega, il solito mago, i soliti due o tre alternativi vestiti da "Corvo", i soliti travestiti, ecc.; così questi furono i miei pensieri: "Poi comunque, vestendosi tutti diversamente, nella diversità si resta uguali, perché solo così si riesce a farsi accettare. Ecco cosa sono le feste in maschera e i carnevali vari, è l’appagamento in piccolo di quel desiderio di non voler essere come si è, è il non volersi più sentire come se stessi. Che poi è lo stesso di non essere contenti di dove si è, così allora pensi che vivendo in un paese straniero staresti meglio. Bisognerà pur lamentarsi di qualcosa! Io invece, sto andando oltre, sempre che questa pillola non sia un imbroglio: non sta ancora facendo effetto! Comunque non mi sto accontentando di soddisfare in piccolo questo desiderio, il mio è un cambiamento radicale, anche se poi anch’io tornerò a lamentarmi…"
E mi sentii chiedere:
- Ma tu cosa saresti?-
Infatti addosso, oltre al reggiseno e alle mutande, che non potevano vedersi, avevo un paio di jeans attillati ,una camicia di seta viola un po’ larga in fondo, e un paio di scarpe ginniche; quindi degli abiti che potessero andare bene sia per un ragazzo che per una ragazza.
Più che sensata la mia scelta!
Poi mi ero anche leggermente truccato: matita nera intorno agli occhi e ombretto azzurro sulle palpebre, qualche brillantino sulle guance e sul collo, dello smalto blu alternato tra un unghia e l’altra su ambedue le mani, i capelli lunghi li portavo di già. Questa era la mia idea di ambiguità!
- Allora… da cosa ti sei mascherato? Non riesco a capire!-
- Appunto, mi son vestito proprio in modo che non si potesse capire. E’ importante?- Risposi con un po’ d’arroganza.
- Beh, sinceramente non m’interessa ma potevi anche non metterti niente
che tanto sarebbe stato lo stesso!- Se ne andò scocciato. -"Meno male"- e tirai un sospiro di sollievo. Tanto mi stava antipatico.
Cominciai a girare in lungo e in largo, salutai chi c’era da salutare, ma quella sera non riuscivo a legare con nessuno!
Cercavo uno specchio, così mi feci indicare il bagno.
Finalmente i primi effetti! Gli zigomi del viso si erano smussati e raddolciti, la pelle del viso non era mai stata così liscia, e poi anche il modo in cui mi muovevo era diverso… c’era molta grazia in me! Mi piacevo proprio. Mi somigliavo ancora, ma ora avevo raggiunto la mia perfezione, lì nel mezzo, quando sei una cosa ma potresti anche non esserla. Mi ero innamorato di me stesso e mi sentivo sicuro.
Tornai fra di loro con fierezza e un po’ alla volta si voltarono tutti, anche coloro per cui, sino a quella sera, provavo delle sensazioni particolari, ma ora non sentivo più niente: tutte le esperienze passate non mi riguardavano già più!
Io gli ero superiore e loro dovevano essere i mie devoti spettatori: senza differenza, per nessuno!
Qualcuno sorrideva, qualcun altro scuoteva la testa ma in generale non sembrava che fosse successo nulla di speciale…in fondo era una festa in maschera! Ma col trascorrere del tempo notai che si stava effettuando come uno scambio: l’insicurezza da me sciolta nell’aria veniva respirata da coloro che mi stavano intorno, e io di conseguenza acquisivo la sicurezza che loro non riuscivano più a trattenere! Si era creato così solo un po’ di disagio dilazionato, visto che tutti continuavano a divertirsi e a fare le cose che stavano già facendo: la novità veniva a galla solo tramite qualche occhiata dubbiosa, nulla di più.
Ci rimasi male, non riuscivo a mostrarmi in modo da convincerli che si stesse compiendo un vero e proprio miracolo.
Forse perché nel duemila nulla fa più scalpore!?
Tornai di malumore, e per questo mi piacevo ancora di più. La cattiveria aumentava l’intrigo! Ma purtroppo lo sapevo solo io.
Stavo decidendo di concludere la mia serata, ero inverso, non m’importava nessuno e io non importavo a nessuno, o almeno non come avrei gradito io. Ripensai a Martina proprio perché lei non c’era.
- Non te ne starai mica andando, vero?- era Tiziana.
- No! Perché?- risposi, cercando di nascondermi con un sorriso forzato.
- Ti vedo strano. Cos’hai?-
Ecco una domanda, che anche se buona nelle intenzioni, non vorrei mai rispondere: la considero inutile.
Oppure è solo che mi mette in crisi perché in verità non so capire neanch’io cos’ho!
- Quello che non hai tu!-
- Eh! Cosa vuol dire?-
- No niente, scherzavo, è solo che sono un po’ stanco. Sai, a non far niente !-
- …mmh! Ho capito. Comunque complimenti per la maschera, l’ho notata solo ora!-
"Ed era ora! Finalmente". Nel ringraziarla volevo fare caso anche alla mia voce: - Anche la tua non è male, ti fa ancora più bella!-
L’ottava superiore era stata raggiunta.
- Perché parli così? –
Naturalmente rimase colpita solo dal tono e non dal contenuto.
- Fa parte della maschera, non preoccuparti!-
Tiziana e chi c’era vicino a lei si guardarono stupefatti, poi risero, e ricominciarono a scherzare tra di loro.
Per una buona mezz’ora seppi distrarmi anch’io.
Poi venne comunicato che ci sarebbe stata la scelta della maschera più bella, con relativo premio: due biglietti per il concerto dei Klistere! …Addirittura!
Mi tornai in mente, ed osservandomi scoprii un leggero rigonfiamento sul petto che però più ci facevo caso e più aumentava! Le gambe non erano più storte e le braccia erano meno muscolose, il tutto corredato dall’assenza totale di peli. Ormai ero giunto al termine.
Improvvisamente mi prese un’agitazione nevrotica: i miei muscoli fremevano, dovevo assolutamente muovermi, i ricordi e i rimorsi si sovrapponevano sempre più pesantemente, tutto ciò che c’era intorno svaniva e mi mancava l’aria. La sicurezza acquisita era fuggita spaventata, e mi ritrovai in uno stato di confusione asfissiante. Mi misi a correre senza guardare in faccia a nessuno, uscii da quella casa.
Ero lì sul pianerottolo del terzo piano appoggiato con la fronte sulla parete rosa, cercando di respirare a fondo, dovevo assolutamente tranquillizzarmi o sarebbe certamente finita male. Cosa mi accadeva? Probabilmente mi ero troppo disinteressato alla mia incapacità di sopportare le situazioni nuove… la mia debole mente le considerava tutte avverse e ne usciva ogni volta trafitta… eppure ogni volta cercavo di convincermi che non dovesse essere per forza così! Purtroppo non era vero.
Perché tutte le decisioni che prendevo per me, ogni volta risultavano sbagliate e inconcludenti? Forse era meglio far decidere agli altri ma comunque già l’idea mi faceva sentire come un perdente, e quindi non andava bene neanche questa ipotesi. Dovevo rimanere un indeciso a vita, e quindi, comunque un perdente? Non riuscivo a trovare soluzione, anzi, non riuscivo a trovare me stesso.
Come avrei voluto in quell’istante qualcuno vicino che mi consolasse, ma tutti erano a caccia della loro preda e in quell’istante erano i biglietti dei Klistere. Ero l’unico ad essermi ritirato, ad essermi pentito della strada scelta per arrivare al premio finale. A cosa mi serviva provare ad arrivare in fondo se tanto mi sentivo già sconfitto? È una scempiaggine, lo so, ma il mio essere rinunciatario è un altro modo per poter riconoscere il mio masochismo !
Mi ripresi da quella scarica elettrica di lucidità, e avviandomi verso l’ascensore incontrai appeso a un pilastro un altro specchio, così mi soffermai. Alle mie spalle intanto cominciava ad esserci un viavai di persone, probabilmente la premiazione era già avvenuta, ma ecco accadere l’imprevedibile; non solo stavo diventando donna ma stavano cambiando anche i particolari che mi hanno da sempre contraddistinto: così di colpo i miei capelli si arricciarono, si gonfiarono e divennero biondi, si rimpicciolì il viso e il naso, gli occhi erano blu e le labbra si riempirono di carne. Ero più alta, mi si strinsero i fianchi e le curve erano piene e sode!
Ero proprio una donna esageratamente sensuale, a parte il fatto che ero ancora uomo!
I ragazzi non riconoscendomi, mi guardavano come nessuno mi aveva mai guardato, e un po’ ne ero lusingato e un po’ disgustato.
Chiamai l’ascensore in modo che non si facesse desiderare a lungo, e infatti in meno di due minuti fu lì, le porte si aprirono e ne uscì una ragazza a dir poco trascendentale… la trattenni; in meno di un secondo mi eccitai a livelli disumani, avevo una tremenda voglia di far sesso.
Ero come quei topi che sul punto di morte usano il loro ultimo sussulto vitale per mordere il loro aggressore; io invece non avendo mai fatto l’amore e capendo che quella sarebbe stata sicuramente la mia ultima possibilità, tirai fuori tutto l’istinto maschile rimastomi.
La ragazza sorrise, e io in dieci secondi gli spiegai più o meno la situazione, lei non replicò anzi sembrava quasi che non aspettasse altro che me, eppure non ci conoscevamo. Magari era una bisessuale un po’ ubriaca, quindi cosa poteva desiderare di più visto che non ero neanche brutta?
Smisi di pormi domande, le porte dietro di noi si richiusero, mi avventai su di lei e la baciai appassionatamente (o almeno credo) su tutto il viso e sulla bocca, intanto nella foga mi sganciai i pantaloni e lei mi aiutava, così avvenne il dramma:
- Ma non c’è niente!- esclamò sorpresa, mentre le succhiavo la fossettina che congiunge le due clavicole al disopra dello sterno.
Cosa vuol dire "non c’è niente"? – controbattei mentre insistevo nell’usurargli ardentemente quel punto magico del corpo.
- Vuol dire che non hai niente!-
- Ma non è vero, io lo sento ancora-
Allora lei si staccò da me e io mi passai la mano, ancora fasciata e impregnata del mio vecchio sangue, fra le gambe, così potei constatare il vuoto… il Vuoto?
Panico misto a disorientamento era approssimativamente la mia sensazione. Non c’era niente e tutta la mia essenza si svuotava parallelamente alla terribile scoperta!
Non avevo più interno, non c’era più potenza e forza, avevo abortito la mia creatività e la mia intelligenza!
Ecco qual è l’unico fattore che differenzia l’uomo dalla donna: il Membro!
Non c’è nessuna cattiveria o presa in giro , è la verità e io potevo dimostrarmelo perché ero stato prima uomo e poi donna.
È stato solo il Membro ad aver deciso le sorti della storia, e di tutto il resto!
Se la donna non può comandare, ora ne capivo il perché.
Cosa poteva saperne la donna non avendo mai vissuto un giorno da uomo? Per lei non è un peso la mancanza di ciò che non ha, anche perché mancando, come potrebbe pesargli?
Ma essendo una conclusione affrettata, forse correvo in un grave errore: probabilmente mi dovevo semplicemente ambientare alla mia nuova abitazione, o forse la mia sensazione di vuoto era dovuta al fatto di non aver soddisfatto la mia "ultima e unica"" possibilità di "far" sesso, mentre da ora in avanti avrei solo potuto "subirlo"! Ancora dubbi, ma per il momento rimpiangevo di già la mia perdita, senza per questo odiare le donne, anzi! Avrebbero dovuto provare anche loro la mia esperienza però invertita, per avvicinarsi a quello che intendevo, per poi tornare donne e disperarsi con me!
Ma chissà perché le mie trasformazioni avvenivano solo quando ci facevo caso, solo quando prendevo atto del fatto che stavo cambiando, sino al compimento dell’opera… all’ultimo è stata quindi solo la consapevolezza a rendermi infelice!
La testa mi girava fortissimo, le pareti argentate dell’ascensore si accartocciavano intorno a me, le luci bianche al neon mi perforavano le pupille, la risata isterica della ragazza ubriaca stava facendo esplodere i miei timpani, così persi le forze e caddi in deliquio.


Sogno ispiratore, e primo abbozzo: Parma. Fine agosto 1999
Sviluppo e revisione: Parma. Dal 2 al 8/10/2000