Festa in maschera

Stavo prendendo quella pillola viola che m’avrebbe cambiato per sempre.
Ho chiuso gli occhi e ho mandato giù con un po’ d’acqua;
ora non mi toccava che aspettare.
Ma non potevo stare in casa, volevo vivere la mia trasformazione in mezzo alla gente per inebriarmi del meraviglioso orrore che si sarebbe formato nei loro occhi.
Non lo so ancora se io fossi pronto e se volessi veramente cambiare, ma la mia nuova e rischiosa voglia di provar tutto, anche se questa volta sarebbe stato qualcosa di definitivo, non m’ha lasciato scampo; e io ho accettato senza alcuna esitazione l’offerta di quell’uomo sconosciuto che camminava nel crepuscolo, isolato dal mondo.
C’eravamo solo io e lui.
Avrà avuto sulla cinquantina d’anni, era brizzolato, messo abbastanza in carne e vestito elegantemente, credo… non mi ricordo bene come, poiché l’oscurità copriva i particolari e poi io stavo pensando ad altro.
Comunque lui mi ferma e mi presenta la sua merce con voce sobria ma suadente, diciamo che sapeva fare il suo lavoro; io lo ascolto, e sempre più attratto dalla sua placida follia, mi convinco di voler vedere le cose in maniera diversa… opposta.
Finalmente avrei potuto capire quel vittimismo nato dall’invidia o da chissà cos’altro, che le donne talvolta mostrano nei confronti degli uomini, finalmente avrei scoperto le differenze nella natura dei due sessi.
Quali nuovi dolori e nuovi piaceri m’avrebbero sconvolto in questa nuova dimensione!?
Sì, volevo la magica pillola!
Lui m’avvertiva, tanto perché doveva farlo, che non sarei più potuto tornare indietro poiché il mio fisico non avrebbe sopportato ancora un così tremendo scossone, ma io già non l’ascoltavo più, già con la mente stavo viaggiando alla ricerca di tutto ciò che di nuovo avrei potuto fare.
Avevo appena ricevuto dalle mani di quello sciamano la bustina contenente il prodotto, che lui mi blocca poiché c’era ancora una piccolezza di notevole importanza da mettere in pratica: mi prende una mano e ci infila dentro un sottilissimo ago con una specie di valvola in cima.
Che violento bruciore si propagò dalla mano sino a tutto il braccio!
Stavo per reagire contro codesto uomo, ma anticipandomi mi spiega l’esigenza di tutto ciò: la mia pressione interna, nel cambiamento, si sarebbe notevolmente alzata e il mio sangue nel suo rinnovo ormonale, necessitava di uno sfogo.
Cominciai a ridere nell’immaginarmi simile a una pentola a pressione… chissà, magari sarei scoppiato come in uno di quegli assurdi cartoni animati giapponesi!
Lo ringraziai senza tanti fronzoli, e mi avviai verso casa.
Quella sera ero stato invitato a una festa in maschera a casa di un mio amico giù in paese, e tu guarda a volte, non ci poteva essere occasione migliore per non cadere nell’ultima tentazione!
Che ammirazione avrebbero avuto gli altri per me, per la mia maschera… sarebbe stata sicuramente la migliore, una maschera sempre più vera al trascorrere del tempo, una maschera che avrebbe preso il mio posto una volta per tutte, tra lo sbigottimento e l’incredulità della gente.
Entrai in casa, i miei non c’erano, era ancora presto per la festa e non avevo fame.
Così andai in bagno, mi spogliai e presi ad analizzarmi innanzi al grande specchio, sicuramente per l’ultima volta in quelle condizioni, ma forse era anche la prima, poiché, solo quando scopri che qualcosa che ti riguarda sta per finire, cominci a guardarti con sospetto e con un pizzico di paura!
Sì, bene o male ero un uomo; ma per quanto ancora? Avrei avuto nostalgia di quel corpo?
Nella mente scorrevano tutte le immagini passate di me, della mia evoluzione; da bambino, che nell’esplorazione del mio corpo, venivo metodicamente censurato, così come tutti i genitori penso facciano nei confronti dei loro figli, ogniqualvolta scoperto, m’inoltravo in zone considerate pericolose, perché così ci è stato insegnato dalla morale comune.
Ora mi vedevo all’apice del mio sviluppo, al termine della mia adolescenza, poi il processo naturale in questo corpo avrebbe cessato di avvenire, avrei vissuto il disfacimento del mio essere in un nuovo involucro.
Dopo dieci minuti cessai di scrutarmi.
M’immersi spensierato nella vasca ricolma d’acqua calda, e quando uscii da questa placenta virtuale, sapevo di rinascere e piansi come un neonato.
Gli abiti che avrei dovuto indossare quella sera erano tranquillamente distesi sul mio letto, lì che m’aspettavano, ma io non aspettavo più loro, e chissà come soffrivano nel vedermi passare davanti senza più alcun interesse. Avevo deciso di nascondermi nelle vesti di un granduca settecentesco, con tanto di voluminosa parrucca bianca e riccioluta, ma ora quella parrucca non mi sarebbe servita più, ed era lì sul letto con tutto il suo orgoglio ucciso senza pietà.
Andai in camera di mia madre, aprii il cassetto della biancheria intima e scelsi un reggiseno nero; io non me ne intendevo e non sapevo se mia madre avesse gusto o no, anche perché io non ne ho mai regalato uno – a chi avrei mai dovuto regalarlo? – "Mi sembra alquanto imbarazzante scegliere qualcosa che sia a diretto contatto con la carne di qualcuno che non sia la mia, e poi io non ho mai avuto una ragazza; penso che sia un qualcosa di forzato e banale, o forse sono solo scuse per nascondere la mia paura interiore che nasce dal fatto di non voler condividere me stesso in tutto e per tutto con un essere diverso, che potrebbe condannare ogni mio presunto errore e rinfacciarmelo a suo piacimento, e forse l’unico errore è stato quello di non crederci mai, io che ora sono disposto a provare qualsiasi cosa!" , questo fu quello che pensai.
Sta di fatto che mi tolsi l’accappatoio e misi su il reggiseno, non senza qualche difficoltà, ma era già prevista, dopo di che trassi dal medesimo cassetto un paio di mutande, sempre di mia madre, e lo indossai il più velocemente possibile, perché chiaramente se fossi rimasto anche solo un attimo a pensarci su, chissà quale tragedia sarebbe avvenuta.
Poi mi fermai.
Guardai l’orologio appeso in camera, erano le sette e trentacinque, mancava ancora un’ora e mezzo all’appuntamento.
Mi levai infastidito il reggiseno e le mutande, non mi appartenevano per il momento, quindi con il cuore che cominciò ad accelerare, m’appoggiai di nuovo l’accappatoio, presi una sigaretta, m’adagiai sulla poltrona e l’accesi. Un minuto di passività. E poi andai alla finestra.
Era già buio e pioveva.
Mi chiedevo se non fossero le condizioni meteorologiche a determinare le mie condizioni interiori, a dare una certa forma all’umore dei miei pensieri e delle mie azioni, non lo so, magari dando solo una base allo sviluppo di ciò che potevo sentire. Intanto m’accorsi che in certi periodi dell’anno vivevo alcuni fatti impossibili da vivere in altri periodi perché ne avvenivano altri di diversi anche se pur sempre negativi(e chissà perché sono solo quelli, solitamente, a rimanermi incisi sulla corteccia cerebrale!), ma propri di quella stagione e di quel mese, come un ciclo; forse era così perché ero io a volerlo credere, in quanto ricordando ciò che era avvenuto nello stesso periodo dell’anno prima, mi convincevo che dovesse succedere ancora.
Ma da ora in avanti non sarebbe più stato così poiché avrei dovuto convivere con un nuovo istinto che m’avrebbe liberato da tutti i tormenti del mio vecchio essere! …almeno questa era la speranza.
Ormai ero pronto ad andare, indossai ciò che c’era da indossare, finii con cura la mia preparazione esteriore, deglutii la pillola e uscii.
La stradina di montagna era viscida, ma non pioveva più.
A piedi ci avrei messo un quarto d’ora e a me stava bene, così feci i primi passi quando mi sentii richiamare da un clacson:
- Vuoi un passaggio?-
- Se vai in paese, volentieri-
E montai sulla decappottabile rossa di Martina.
- Allora dove vai di bello? Non mi dire che vai anche tu alla festa?-
- Va bene, non te lo dico- risposi ridendo, – perché? vieni anche tu?-
- No…no, ho un altro impegno. Te l’ho chiesto perché sembra che siano tutti lì stasera-
Non la conoscevo da molto ma era proprio una bella ragazza; una di quelle ragazze per cui non è difficile perdere la testa, e mi dicevo che per una così si poteva decisamente restare uomini, ma non ci soffrivo pensandolo poiché ne ero molto distaccato, una cosa che avevo imparato a fare solo da poco e ora più che mai mi era indispensabile, o forse anche questa era solo una condizione stagionale.
L’avevo incontrata per la prima volta in piscina, qualche mese prima, e rimasi praticamente senza fiato… con un fisico del genere per forza! Infatti non mi ricordo bene di cosa avessimo parlato, so che studiava da qualche parte ed avevamo delle amicizie in comune… ah sì è vero! Se no non saremmo stati tutto il giorno con lo stesso nucleo di persone.
La cosa che comunque più mi colpiva di lei, era il viso: profondamente delicato. Ed è difficile poter affibbiare a un viso una qualità del genere, pur quanto femminile possa essere.
Poi ci eravamo visti altre due o tre volte, e ora volevo chiedergli scusa, poi le volevo chiedere un favore e poi mi sarebbe piaciuto confidarmi. Era l’ultima volta che mi avrebbe visto così, ma non realizzai nessuna delle tre intenzioni, bisognava trattenersi il più possibile sennò sarebbe svanito tutto l’incanto. Era chiaro che invece volevo semplicemente saltargli addosso! Avrei potuto tentare di approfittarne visto che avevo poco tempo, ma non lo feci.
Com’era deliziosa, e ciò mi dispiacque.
- Cos’hai fatto alla mano?- mi domandò, notando la fasciatura con cui mi
ero avvolto per non esporre al pubblico il mio sottilissimo ago.
- Ah niente, mi sono scottato con la pentola a pressione, ma nulla di grave!-
Non era proprio una bugia, anche se non sembrava che i miei ormoni si stessero rinnovando, anzi erano ancora più forti, forse si stavano prima concentrando. Però riuscivo ancora a controllarmi, per fortuna di Martina!
In quel momento, guardandola, pensai che quando sarei diventato donna sarei stata sicuramente omosessuale.
Entrati in paese le campane suonarono le dieci, e arrivati nel piazzale della Chiesa , l’auto decise di frenarsi: forse voleva fare una preghiera per me!
Invece dovevo scendere.
Fissai gli occhi di Martina con malinconia e la salutai, ma anche lei era malinconica. Forse per solidarietà nei miei confronti, oppure anche lei aveva preso la mia stessa pillola : allora in quel caso non ci sarebbe stato più alcun problema, ci saremmo amati ugualmente!
Mi limitai a darle un "bacino" sulla guancia, come sempre.
- Bye bye!- ; smontai dalla macchina.
- Divertiti! - ; mi lasciò smontare dalla sua macchina.
E finì così.
Stavo salendo le scale che m’avrebbero portato al terzo piano: il baccano che si sentiva mi stava di già isolando.
C’era un sacco di gente e nessuno sembrava essersi accorto della mia presenza, "meglio così" pensai "almeno per ora, visto che il meglio di me lo darò solo tra poco". C’erano proprio tutti, oppure quando c’è tanta gente anche se manca qualcuno è irrilevante, tanto così sono tutti uguali!
Era la massa indifferente che mi girava intorno.
Infatti c’erano anche molte persone che non avevo mai visto ed era proprio grande la casa del mio amico! Aveva proprio tanti amici il mio amico!
Le tavolate erano ricolme di cibarie, io però non mangiavo… logicamente! Era meglio mantenersi a stomaco vuoto poiché il mio fisico era già occupato a svolgere un’attività abbastanza impegnativa. Non volevo rischiare di stare male dinanzi a tutti. E tutti erano vestiti con ciò che conviene quando si sa che tutti si devono mascherare: c’era la solita strega, il solito mago, i soliti due o tre alternativi vestiti da "Corvo", i soliti travestiti, ecc.; così questi furono i miei pensieri: "Poi comunque, vestendosi tutti diversamente, nella diversità si resta uguali, perché solo così si riesce a farsi accettare. Ecco cosa sono le feste in maschera e i carnevali vari, è l’appagamento in piccolo di quel desiderio di non voler essere come si è, è il non volersi più sentire come se stessi. Che poi è lo stesso di non essere contenti di dove si è, così allora pensi che vivendo in un paese straniero staresti meglio. Bisognerà pur lamentarsi di qualcosa! Io invece, sto andando oltre, sempre che questa pillola non sia un imbroglio: non sta ancora facendo effetto! Comunque non mi sto accontentando di soddisfare in piccolo questo desiderio, il mio è un cambiamento radicale, anche se poi anch’io tornerò a lamentarmi…"
E mi sentii chiedere:
- Ma tu cosa saresti?-
Infatti addosso, oltre al reggiseno e alle mutande, che non potevano vedersi, avevo un paio di jeans attillati ,una camicia di seta viola un po’ larga in fondo, e un paio di scarpe ginniche; quindi degli abiti che potessero andare bene sia per un ragazzo che per una ragazza.
Più che sensata la mia scelta!
Poi mi ero anche leggermente truccato: matita nera intorno agli occhi e ombretto azzurro sulle palpebre, qualche brillantino sulle guance e sul collo, dello smalto blu alternato tra un unghia e l’altra su ambedue le mani, i capelli lunghi li portavo di già. Questa era la mia idea di ambiguità!
- Allora… da cosa ti sei mascherato? Non riesco a capire!-
- Appunto, mi son vestito proprio in modo che non si potesse capire. E’ importante?- Risposi con un po’ d’arroganza.
- Beh, sinceramente non m’interessa ma potevi anche non metterti niente
che tanto sarebbe stato lo stesso!- Se ne andò scocciato. -"Meno male"- e tirai un sospiro di sollievo. Tanto mi stava antipatico.
Cominciai a girare in lungo e in largo, salutai chi c’era da salutare, ma quella sera non riuscivo a legare con nessuno!
Cercavo uno specchio, così mi feci indicare il bagno.
Finalmente i primi effetti! Gli zigomi del viso si erano smussati e raddolciti, la pelle del viso non era mai stata così liscia, e poi anche il modo in cui mi muovevo era diverso… c’era molta grazia in me! Mi piacevo proprio. Mi somigliavo ancora, ma ora avevo raggiunto la mia perfezione, lì nel mezzo, quando sei una cosa ma potresti anche non esserla. Mi ero innamorato di me stesso e mi sentivo sicuro.
Tornai fra di loro con fierezza e un po’ alla volta si voltarono tutti, anche coloro per cui, sino a quella sera, provavo delle sensazioni particolari, ma ora non sentivo più niente: tutte le esperienze passate non mi riguardavano già più!
Io gli ero superiore e loro dovevano essere i mie devoti spettatori: senza differenza, per nessuno!
Qualcuno sorrideva, qualcun altro scuoteva la testa ma in generale non sembrava che fosse successo nulla di speciale…in fondo era una festa in maschera! Ma col trascorrere del tempo notai che si stava effettuando come uno scambio: l’insicurezza da me sciolta nell’aria veniva respirata da coloro che mi stavano intorno, e io di conseguenza acquisivo la sicurezza che loro non riuscivano più a trattenere! Si era creato così solo un po’ di disagio dilazionato, visto che tutti continuavano a divertirsi e a fare le cose che stavano già facendo: la novità veniva a galla solo tramite qualche occhiata dubbiosa, nulla di più.
Ci rimasi male, non riuscivo a mostrarmi in modo da convincerli che si stesse compiendo un vero e proprio miracolo.
Forse perché nel duemila nulla fa più scalpore!?
Tornai di malumore, e per questo mi piacevo ancora di più. La cattiveria aumentava l’intrigo! Ma purtroppo lo sapevo solo io.
Stavo decidendo di concludere la mia serata, ero inverso, non m’importava nessuno e io non importavo a nessuno, o almeno non come avrei gradito io. Ripensai a Martina proprio perché lei non c’era.
- Non te ne starai mica andando, vero?- era Tiziana.
- No! Perché?- risposi, cercando di nascondermi con un sorriso forzato.
- Ti vedo strano. Cos’hai?-
Ecco una domanda, che anche se buona nelle intenzioni, non vorrei mai rispondere: la considero inutile.
Oppure è solo che mi mette in crisi perché in verità non so capire neanch’io cos’ho!
- Quello che non hai tu!-
- Eh! Cosa vuol dire?-
- No niente, scherzavo, è solo che sono un po’ stanco. Sai, a non far niente !-
- …mmh! Ho capito. Comunque complimenti per la maschera, l’ho notata solo ora!-
"Ed era ora! Finalmente". Nel ringraziarla volevo fare caso anche alla mia voce: - Anche la tua non è male, ti fa ancora più bella!-
L’ottava superiore era stata raggiunta.
- Perché parli così? –
Naturalmente rimase colpita solo dal tono e non dal contenuto.
- Fa parte della maschera, non preoccuparti!-
Tiziana e chi c’era vicino a lei si guardarono stupefatti, poi risero, e ricominciarono a scherzare tra di loro.
Per una buona mezz’ora seppi distrarmi anch’io.
Poi venne comunicato che ci sarebbe stata la scelta della maschera più bella, con relativo premio: due biglietti per il concerto dei Klistere! …Addirittura!
Mi tornai in mente, ed osservandomi scoprii un leggero rigonfiamento sul petto che però più ci facevo caso e più aumentava! Le gambe non erano più storte e le braccia erano meno muscolose, il tutto corredato dall’assenza totale di peli. Ormai ero giunto al termine.
Improvvisamente mi prese un’agitazione nevrotica: i miei muscoli fremevano, dovevo assolutamente muovermi, i ricordi e i rimorsi si sovrapponevano sempre più pesantemente, tutto ciò che c’era intorno svaniva e mi mancava l’aria. La sicurezza acquisita era fuggita spaventata, e mi ritrovai in uno stato di confusione asfissiante. Mi misi a correre senza guardare in faccia a nessuno, uscii da quella casa.
Ero lì sul pianerottolo del terzo piano appoggiato con la fronte sulla parete rosa, cercando di respirare a fondo, dovevo assolutamente tranquillizzarmi o sarebbe certamente finita male. Cosa mi accadeva? Probabilmente mi ero troppo disinteressato alla mia incapacità di sopportare le situazioni nuove… la mia debole mente le considerava tutte avverse e ne usciva ogni volta trafitta… eppure ogni volta cercavo di convincermi che non dovesse essere per forza così! Purtroppo non era vero.
Perché tutte le decisioni che prendevo per me, ogni volta risultavano sbagliate e inconcludenti? Forse era meglio far decidere agli altri ma comunque già l’idea mi faceva sentire come un perdente, e quindi non andava bene neanche questa ipotesi. Dovevo rimanere un indeciso a vita, e quindi, comunque un perdente? Non riuscivo a trovare soluzione, anzi, non riuscivo a trovare me stesso.
Come avrei voluto in quell’istante qualcuno vicino che mi consolasse, ma tutti erano a caccia della loro preda e in quell’istante erano i biglietti dei Klistere. Ero l’unico ad essermi ritirato, ad essermi pentito della strada scelta per arrivare al premio finale. A cosa mi serviva provare ad arrivare in fondo se tanto mi sentivo già sconfitto? È una scempiaggine, lo so, ma il mio essere rinunciatario è un altro modo per poter riconoscere il mio masochismo !
Mi ripresi da quella scarica elettrica di lucidità, e avviandomi verso l’ascensore incontrai appeso a un pilastro un altro specchio, così mi soffermai. Alle mie spalle intanto cominciava ad esserci un viavai di persone, probabilmente la premiazione era già avvenuta, ma ecco accadere l’imprevedibile; non solo stavo diventando donna ma stavano cambiando anche i particolari che mi hanno da sempre contraddistinto: così di colpo i miei capelli si arricciarono, si gonfiarono e divennero biondi, si rimpicciolì il viso e il naso, gli occhi erano blu e le labbra si riempirono di carne. Ero più alta, mi si strinsero i fianchi e le curve erano piene e sode!
Ero proprio una donna esageratamente sensuale, a parte il fatto che ero ancora uomo!
I ragazzi non riconoscendomi, mi guardavano come nessuno mi aveva mai guardato, e un po’ ne ero lusingato e un po’ disgustato.
Chiamai l’ascensore in modo che non si facesse desiderare a lungo, e infatti in meno di due minuti fu lì, le porte si aprirono e ne uscì una ragazza a dir poco trascendentale… la trattenni; in meno di un secondo mi eccitai a livelli disumani, avevo una tremenda voglia di far sesso.
Ero come quei topi che sul punto di morte usano il loro ultimo sussulto vitale per mordere il loro aggressore; io invece non avendo mai fatto l’amore e capendo che quella sarebbe stata sicuramente la mia ultima possibilità, tirai fuori tutto l’istinto maschile rimastomi.
La ragazza sorrise, e io in dieci secondi gli spiegai più o meno la situazione, lei non replicò anzi sembrava quasi che non aspettasse altro che me, eppure non ci conoscevamo. Magari era una bisessuale un po’ ubriaca, quindi cosa poteva desiderare di più visto che non ero neanche brutta?
Smisi di pormi domande, le porte dietro di noi si richiusero, mi avventai su di lei e la baciai appassionatamente (o almeno credo) su tutto il viso e sulla bocca, intanto nella foga mi sganciai i pantaloni e lei mi aiutava, così avvenne il dramma:
- Ma non c’è niente!- esclamò sorpresa, mentre le succhiavo la fossettina che congiunge le due clavicole al disopra dello sterno.
Cosa vuol dire "non c’è niente"? – controbattei mentre insistevo nell’usurargli ardentemente quel punto magico del corpo.
- Vuol dire che non hai niente!-
- Ma non è vero, io lo sento ancora-
Allora lei si staccò da me e io mi passai la mano, ancora fasciata e impregnata del mio vecchio sangue, fra le gambe, così potei constatare il vuoto… il Vuoto?
Panico misto a disorientamento era approssimativamente la mia sensazione. Non c’era niente e tutta la mia essenza si svuotava parallelamente alla terribile scoperta!
Non avevo più interno, non c’era più potenza e forza, avevo abortito la mia creatività e la mia intelligenza!
Ecco qual è l’unico fattore che differenzia l’uomo dalla donna: il Membro!
Non c’è nessuna cattiveria o presa in giro , è la verità e io potevo dimostrarmelo perché ero stato prima uomo e poi donna.
È stato solo il Membro ad aver deciso le sorti della storia, e di tutto il resto!
Se la donna non può comandare, ora ne capivo il perché.
Cosa poteva saperne la donna non avendo mai vissuto un giorno da uomo? Per lei non è un peso la mancanza di ciò che non ha, anche perché mancando, come potrebbe pesargli?
Ma essendo una conclusione affrettata, forse correvo in un grave errore: probabilmente mi dovevo semplicemente ambientare alla mia nuova abitazione, o forse la mia sensazione di vuoto era dovuta al fatto di non aver soddisfatto la mia "ultima e unica"" possibilità di "far" sesso, mentre da ora in avanti avrei solo potuto "subirlo"! Ancora dubbi, ma per il momento rimpiangevo di già la mia perdita, senza per questo odiare le donne, anzi! Avrebbero dovuto provare anche loro la mia esperienza però invertita, per avvicinarsi a quello che intendevo, per poi tornare donne e disperarsi con me!
Ma chissà perché le mie trasformazioni avvenivano solo quando ci facevo caso, solo quando prendevo atto del fatto che stavo cambiando, sino al compimento dell’opera… all’ultimo è stata quindi solo la consapevolezza a rendermi infelice!
La testa mi girava fortissimo, le pareti argentate dell’ascensore si accartocciavano intorno a me, le luci bianche al neon mi perforavano le pupille, la risata isterica della ragazza ubriaca stava facendo esplodere i miei timpani, così persi le forze e caddi in deliquio.


Sogno ispiratore, e primo abbozzo: Parma. Fine agosto 1999
Sviluppo e revisione: Parma. Dal 2 al 8/10/2000

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